Indirizzi di studio del BSC rivolti alla ricerca di componenti bioattivi naturalmente presenti nella materia grassa del latte

Prof. Fernando Tateo – UniMi

Prof. Monica Bononi – UniMi

Introduzione al tema

Per quanto abbia fino ad oggi operato il mondo del dairy nella ricerca sulle potenzialità biologiche della materia grassa del latte, non molto evidenti sono risultate le conclusioni in merito agli effetti diretti dei componenti minori presenti nella frazione lipidica sull’attività di prevenzione che talune molecole posso offrire in talune patologie largamente presenti e frustranti della qualità della vita.

Gli studi condotti sulla composizione della materia grassa, svolti nel passato attraverso l’approssimato esame analitico limitato ai componenti maggiormente rappresentati, hanno condotto alcuni a esprimere conclusioni a dir poco dirompenti in senso negativo sul valore del grasso del latte ed hanno diffuso considerazioni negative sull’immagine nutrizionale del latte.

In termini di ordine storico, si è passati da una lunga era precedente agli anni ’50 caratterizzata da indiscussa valorizzazione tradizionalmente riconosciuta delle caratteristiche nutrizionali del latte e derivati, ad un’era caratterizzata da affrettata voglia di considerare in modo assolutamente superficiale i risultati delle ricerche analitiche svolte invece in modo già più puntuale. Per rendere più immediata la percezione corretta di tale concetto, basti considerare che la sola possibilità offerta dalle operazioni gascromatografiche di identificazione dei singoli acidi grassi costituenti i trigliceridi condusse proprio negli anni ’50 a demonizzare la materia grassa del latte come apportatrice di trigliceridi saturi. Si aprì in quel momento l’era di critica negativa all’impiego degli acidi grassi saturi e furono proprio il latte e il burro a farne le spese. Si assisté proprio allora nel nostro Paese alla enfatizzazione dell’uso della margarina e degli oli vegetali, semplicisticamente considerati apportatori di migliore effetto salutistico degli acidi grassi insaturi. Questa alternativa “vegetale” fu naturalmente inculcata nel mercato dei consumi da semplicistiche considerazioni, e su spinta commerciale di grandi gruppi di potere alimentare interessati alla introduzione di materie prime alternative a derivati del latte. Fu e permane come risultato la proliferazione di immissioni in mercato di latte a ridotto contenuto di materia grassa e una forte spinta alla produzione di “light”, sempre in lotta su base culturale artatamente nutrizionistica contro la leggenda del burro “nemico”.

La controinformazione, con ritorno alla cultura dell’integrale anche nel lattiero-caseario, è operazione alla quale si dedicano attualmente coloro che fra i produttori prediligono il sano concetto della rivalutazione della tradizione. Con ciò la predilezione per gli studi finalmente di ordine scientifico avanzato che mirano a identificare in latte, burro e derivati, le concrete ragioni per le quali sia opportuno riscrivere a chiare lettere i principi che presiedono a valutazioni nutrizionali non soggette a faziosità o a puri interessi economici con coperture di innovazione senza senso salutistico scientificamente supportato e soprattutto non avallate da scienza e coscienza.

Sulla scorta delle considerazioni di ordine etico e storico che precedono, il Centro BSC ha abbracciato l’indirizzo dettato dagli studi di ordine analitico che mirano ad identificare e quantificare nel latte i componenti minori ossia:

Molecole bioattive che supportino l’adozione di tecnologie di trasformazione che non ne degradino l’attività, costituendo invece strada aperta alla soluzione di problematiche di grande respiro nella prevenzione di disfunzioni metaboliche che assumono il vero e proprio carattere di “malattie” di ordine sociale.

Molecole ed associazioni molecolari che siano in grado di supplire ad attività di ordine tecnologico utili nelle trasformazioni industriali non costituendo ed anzi sostituendo l’attività di additivi, coadiuvanti ed integratori di origine estranea alla natura del latte.

Con ciò contribuendo e coadiuvando l’opera scientifica di autori/sperimentatori che riconoscono nell’attività del latte e derivati il sostegno alla soluzione di conseguenze di rischi derivanti da “disordine” alimentare che sostengono l’insorgere di vere e proprie malattie nella vita comune di ogni giorno.

 

Componenti bioattivi nel latte e nel burro con proprietà anti-diabetogene

Una delle problematiche attuali che divide i pareri degli sperimentatori è quella del diabete di tipo 2 e quindi dell’insulino-resistenza. Questa piaga comune più presente nei Paesi più sviluppati produce complicazioni cardiovascolari con meccanismi riferibili alla “iperglicemia” che costituisce la causa primaria dell’obesità correlata anche allo stile di vita: mezzi comuni di prevenzione sono la riduzione di peso e l’attività fisica. I risultati sperati attraverso la normalizzazione della dieta sono stati ormai considerati difficili da correlare ad entusiasmo: una realtà sperimentale è risultata invece incontrovertibile, ed è quella della dimostrazione che il consumo di derivati del latte risulta inversamente correlato al rischio di insorgenza del diabete di tipo 2.

La fonte di informazione più scientificamente consistente e peraltro più immediatamente recepibile in questo campo è quella degli studi osservazionali (observational studies), considerati in epidemiologia come quelli più immediatamente relazionabili a testimonianze non soggette a influenze o interessi. Una delle fonti bibliografiche che è opportuno citare è quella di Kratz  My Baars e T. Guyent S. dal titolo “The relationship between high fat dairy consumption and obesity, cardiovascular and metabolic disease”, pubblicato su Eur. J. Nutr. 2013:52:1-24, che riporta il risultato di 16 studi osservazionali, in 11 dei quali è dimostrato che i partecipanti che hanno consumato grasso del latte o comunque alimenti con alto contenuto di grasso del latte hanno perso maggior peso nel tempo rispetto ai partecipanti all’indagine che hanno consumato minor quantità degli stessi prodotti. Nessuno degli studi intanto riferisce su associazione positiva fra consumo di burro o di prodotti caseari e misure di adiposità. Otto degli studi osservazionali hanno inoltre investigato sulle possibili relazioni fra materia grassa del latte e incidenza di diabete di tipo 2, e tre di tali studi riferiscono che l’incidenza di diabete 2 è risultata inversamente associata al consumo di lattiero-caseari o a markers prodotti da assunzione di lattiero-caseari. Uno solo di tali studi mostra un’inconsistente evidenza per un’associazione inversa mentre quattro studi riferiscono chiaramente sulla non associabilità di consumo di lattiero caseari con insorgenza di diabete.

Quanto a identificazione di molecole presenti nel grasso del latte per le quali sia riscontrabile una certa capacità di induzione di perdita di peso, l’attenzione è stata rivolta dalla bibliografia accreditata ai CLA (coniugated linoleic acid), costituiti da due isomeri. Uno di essi è l’acido rumenico (cis-9, trans-11-18:2), insieme all’isomero trans-10-cis-12-18:2. L’acido rumenico è l’isomero naturale riscontrabile come presente nel latte e nel tessuto di ruminanti: è proprio l’isomero cis (acido rumenico) che non è responsabile di effetto sulla perdita di peso ma apporta effetto positivo sulla sensibilizzazione all’insulina. Tale ricerca è stata pubblicata da Taylor CG, Zahradka P., in un lavoro dal titolo Dietary conjugated linoleic acid and insulin sensitivity and resistance in rodent models, pubblicato in Am.J.Clin Nutr. 2004:79:11645-85.

La materia grassa del latte contiene un altro composto la cui concentrazione non sembra essere così determinante nel metabolismo del glucosio: è l’acido fitanico (3,7,1,1,15 tetramethylhexadecanoic acid), prodotto nel rumine di animali (ruminanti) e risultante dalla demolizione batterica della catena del fitolo presente nella clorofilla delle piante. L’acido fitanico non viene prodotto dagli esseri umani ma deriva dalla dieta ed è contenuto soltanto in composti derivati dal rumine e nel  pesce. Contrariamente a quanto riscontrato per gli altri acidi grassi, l’acido fitanico incrementa anche a molto ridotta concentrazione l’assorbimento del glucosio da parte degli epatociti: questo è il risultato di una ricerca svolta da Heim M.Johnson, Boess F. ed altri e pubblicata con il titolo Phytanic acid, a natural peroxisome-proliferator- activated receptor agonist, regulates glucose metabolism in rat primary hepatocites, in FASEB J: 2002, 16:718-20.

 

Conclusioni

Da studi svolti da vari sperimentatori risulta evidente che sono numerosissimi i composti ad attività biologica importante che sono presenti nel latte e che esplicano funzioni ad attività preventiva di gravi stati metabolici, pur a concentrazione naturalmente molto limitata. L’attività di composti identificati come capaci di attuare prevenzione e presenti nella frazione grassa del latte non è certo limitata ai composti a cui si è accennato nel testo che precede: si sono qui menzionate solo alcune molecole che P.W.Parodi ha citato nel 2015 come componenti bioattivi che agiscono come agonisti di uno o più PPAR (come anche le antocianidine ed il resveratrolo da altra origine), cioè come attivatori di altre molecole che hanno attività antidiabetogena. L’attività antidiabetogena  dei componenti bioattivi citati, e presenti nel grasso del latte, può essere giustificata, secondo Parodi, come “cooperative action” (azione che collabora) all’attività antidiabetica di molecole ben note: con ciò si spiegherebbe l’attività antidiabetogena di CLA, acido fitanico, e acido rumenico, vitamina A,  beta-carotene e acido butirrico (P.W.Parodi in Cooperative action of bioactive components in milk fat with PPARs may explain its anti-diabetogenic properties pubblicato su “Medical Hypotheses” 89 (2016)1-7).

In altra sede si è fatto accenno anche alla presenza di molecole ad attività tecnologica altrettanto utili: l’identificazione e la determinazione  analitica di composti minori nei costituenti del latte rappresenta interesse di ricerca applicativa del BSC, e rappresenta concreto mezzo di continua valorizzazione delle proprietà ancora non pienamente note di latte e derivati.

 

Zanè, 8 maggio 2024

 

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