Cenni su alcuni componenti minori della frazione lipidica del latte e loro ruolo nutrizionale – Nota 2

Prof. Fernando Tateo - Ordinario di Scienze e Tecnologie Alimentari, Università degli Studi di Milano
Prof. Monica Bononi - Cattedra di Analisi Chimica degli Alimenti, Università degli Studi di Milano

L’attenzione per gli acidi grassi isomeri definiti con l’acronimo CLA, presenti nel latte dei ruminanti in concentrazioni dello 0,3 – 1, 0 % rispetto al totale degli acidi grassi, è derivata proprio da curiosità di ordine chimico-strutturale. La presenza di doppi legami coniugati nelle posizioni comprese fra 6 e 14 della struttura molecolare rende possibile la presenza di 28 isomeri, come evidenziato in un lavoro titolato “Chromatographic  separation and identification of conjugated linoleic acid isomers” e redatto da J.A.G. Roach ed altri, pubblicato su Anal.Chim.Acta del 2002.

Questi acidi grassi minori si formano per attività batterica del rumine, che provoca la bioidrogenazione dei due acidi grassi linoleico e linolenico: questi derivano a loro volta  dalla dieta delle bovine. La trasformazione è catalizzata dall’azione di un enzima presente nelle ghiandole mammarie, enzima denominato con l’acronimo SDC ( delta-9 desaturasi).

Per curiosità di ordine storico si aggiunge che questi acidi grassi  CLA, pur presenti in alimenti di altra origine come la carne,  avevano però già tempo prima (1987) attratto l’attenzione di Y.L.Ha e suoi collaboratori, che avevano redatto una pubblicazione dal titolo “Anticarcinogens from fried ground beef: heat-altered derivatives of linoleic-acid” apparsa sulla rivista “Carcinogenesis”. In effetti, gli Autori avevano descritto l’attività antitumorale di estratti di carne macinata e “fritta” di manzo  su tumori dell’epidermide di ratti e tale attività era proprio dovuta a derivati dell’acido linolenico prodottisi per stress termico.

Nella realtà sperimentale non vi sono molti studi che correlano fino ad oggi il consumo di isomeri CLA, acquisiti attraverso il consumo di lattiero-caseari, con l’effetto protettivo sulla carcenogenesi: i dati disponibili, cui facciamo cenno in questa nota, sono prevalentemente di natura epidemiologica. La citazione di due lavori in tal senso dimostrano quanto meno un’attenzione, almeno formalizzata, per l’importanza da attribuire al consumo di lattiero-caseari nella dieta, per ragioni che cozzano in modo evidente contro le illazioni che alcuni fanno, senza dimostrazione alcuna di carattere sperimentale, mirate a sottovalutare il significato essenziale del consumo di latte e derivati. Le due citazioni sono riferite a pubblicazioni di S.Benjamin e coll. e di P.Knekt e coll.: la prima, più recente  (2015), ha titolo “Pros and cons of CLA consumption: an insight from clinical evidences”ed è apparsa su Nutr.Metabol,12-4, e la seconda (1996) ha titolo “ Intake of dairy products and the risk of breast cancer” ed è pubblicata su Br.J.Cancer, 73-687. Tanto per evidenza, l’ultimo lavoro citato è derivato da sperimentazione condotta su 4697 donne, su cui è stato svolto un controllo dei consumi alimentari per 25 anni, e che conclude sulla assoluta inesistenza di correlazione fra consumo di latte e insorgenza di cancro al seno.

Un’ulteriore testimonianza scientifica di pregio si riscontra in un lavoro di A.Aro e coll. pubblicata su Nutr.Cancer 38, 151-157 nell’anno 2000 dal titolo “Inverse association beetween dietary and serum conjugated linoleic acid and risk of breast cancer in postmenopausal women”. Per meglio esplicitare il contenuto di tale pubblicazione, proponiamo la traduzione del titolo in “ Correlazione inversa fra acido linoleico da dieta o da siero-coniugati e rischio di cancro della mammella in donne in post-menopausa”

Tra l’altro è importante puntualizzare che le argomentazioni addotte derivano da studi  relazionati al consumo di “formaggi” nella dieta.

Sono state recentemente proposte diverse teorie che spiegherebbero il possibile effetto biologico–protettivo  degli acidi grassi CLA. Una delle più accreditate richiamerebbero l’effetto che possono espletare gli acidi grassi CLA nel sostituire l’acido arachidonico nei fosfolipidi di membrana, opponendosi alla sintesi degli ecosanoidi. Altre ipotesi sono quelle legate all’effetto antiinfiammatorio dei CLA.

In tema di acidi grassi che originano derivati quantitativamente minori è il caso di citare gli acidi grassi a corta catena, più comunemente denominati SCFA (short chain fatty acids) come C4 (butirrico), C6 (caproico), C8 (caprilico), C10 (caprico). Questi composti derivano da processi fermentativi prodotti dai batteri del rumine, sono volatili e quindi responsabili (con altri composti) del caratteristico aroma dei formaggi. Sono questi gli stessi acidi grassi ai quali si deve l’evoluzione dell’aroma in fase di maturazione. Durante tale processo di natura chimico-ficica molto complesso, questi stessi acidi grassi originano derivati di complessa struttura chimica, per azione di enzimi genericamente denominati “lipasi” ed “esterasi”. Si genera quindi durante la maturazione di laattiero-caseari, a partire da acidi grassi a  corta catena  (SCFA), una serie  di derivati volatili di più inimmaginabile complessa struttura, che conferiscono caratteristiche “note” sensorialmente rilevabili e che costituiscono “blend” aromatici specifici di ogni produzione. Il fenomeno, dal punto di vista puramente “chimico” risulta simile a quello che ha luogo né più né meno in corso di invecchiamento dei vini, ove gli acidi volatili derivati dal metabolismo dei costituenti dell’uva sintetizzano spontaneamente nuovi composti volatili ad effetto aromatizzante. Anche in tal caso la sintesi naturale di nuovi derivati ha luogo per effetto enzimatico, sì che la “carica enzimatica” dell’uvaggio condiziona largamente la risposta sensoriale del vino che invecchia. Su botti di pregio, in una zona del mondo votata all’eccellenza (vini del Douro, Portogallo), sono riportate dizioni del tipo “il vino riposa, lavora e invecchia in silenzio”, quasi a ricordare che l’attività enzimatica, lenta e continua, prodotta dai microorganismi dell’ambiente e dell’uva, non produce risultati solo in fase di produzione ma  anche e fondamentalmente in fase di riposo, invecchiando in senso “creativo”.

Allo stesso modo i fenomeni enzimaticamente guidati nei formaggi a pasta dura stagionati sono processi che hanno luogo con una lentezza a dir poco esasperante: i composti che si formano, in quel fenomeno che definiamo “maturazione” non sono soltanto utili a produrre “bouquet” ma concorrono ad arricchire anche “biologicamente” il già ricco parco di nutrienti apportato in senso nutrizionale dal formaggio. Sarebbe (e purtroppo è) un errore grave quello di attribuire ai fenomeni di maturazione la funzione di metabolismo mirato soltanto alla robustezza dell’aroma: ogni componente dell’aroma ha una sua funzione biologica espletata a concentrazioni anche molto limitate. Il tal senso il cammino della scienza è ancora molto lungo da percorrere: si dovrà, negli anni a venire, puntare i mezzi di conoscenza verso gli obiettivi più nascosti, che sono indubbiamente quelli legati all’effetto biologico dei composti minori. Fra questi componenti quantitativamente “minori”, che si sviluppano spontaneamente in concentrazioni dell’ordine delle parti per milione (ppm, cioè mg/Kg) o parti per bilione (ppb, cioè µg/kg) ve ne sono di essenziali ai fini dell’aroma ma altrettanti ai quali è da attribuire un effetto biologico non nullo. E’ proprio l’insieme di vari componenti minori quello che genera un effetto “sinergico” sia nell’attività aromatizzante naturale sia nell’attività influente sull’equilibrio metabolico dell’uomo. L’identificazione delle molte attività “ancora nascoste”, parallele a quelle della carica aromatica più facilmente identificabile, coprono l’interesse della ricerca scientifica del futuro e fra le finalità del “Brazzale Science Center” quella dedicata all’analitica “fine” è una delle essenziali in quanto pone le basi e produce un forte contributo per  la futura comprensione piena del valore nutrizionale dei dairy compounds.

I limitati riferimenti alla “maturazione” qui esposti sono per ora sufficienti a debellare il concetto da alcuni espresso sulla eliminazione graduale dell’acqua in maturazione come mezzo di arricchimento quantitativo in proteine e materie grasse: l’arricchimento macroscopico dei nutrienti è il risultato più scontato e meno scientifico che possa essere richiamato al consumatore. In realtà dedicheremo sempre maggiore dedizione alla evidenza di fenomeni enzimatici che si relazionano alla maturazione ed alle tecnologie legate al “microclima” cui la Brazzale S.p.A. sta dedicando particolare scientifica attenzione, proprio al fine della ottimizzazione di quei fenomeni che rendono insostituibili le attività dei derivati lattiero-caseari nell’impiego e nell’accettabilità per il consumatore in dieta quotidiana.

 

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componenti minori del latte

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